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venerdì 12 ottobre 2007

La scuola che vorrei

Centomila studenti sono oggi scesi in piazza per manifestare contro le nuove leggi sulla scuola ed in particolare contro le facoltà a numero chiuso ed il ritorno agli esami di riparazione; una volta tanto lo sciopero non ha solo come fine una giornata di vacanza ma la difesa di idee che stanno realmente a cuore a tanti studenti. Per quanto riguarda il numero chiuso, sono il primo ad associarmi agli studenti: non mi sembra giusto che vengano condizionate sempre più le scelte e il futuro di tanti giovani, che vengano soffocate le loro aspirazioni e i loro legittimi interessi. Sul secondo punto sono invece in totale disaccordo: capisco che agli studenti dispiaccia essere rimandati, ma quando la regola fu cambiata fui il primo a dissentire. Ricordo, ai tempi del liceo, che gli esami di riparazione erano il mezzo più efficace per far colmare agli studenti le loro lacune; infatti, i compagni di classe che venivano rimandati, nei primi mesi dell'anno seguente erano fra i più preparati nelle materie in questione. Purtroppo è sempre così: prima si eliminano le cose migliori, poi si torna al punto di prima; ci vuole davvero tanto a capire ciò va bene e ciò che invece va cambiato? La scuola è uno di quei settori in cui i vari ministri che si sono succeduti hanno cercato di cambiare tanto ma son rimasti sempre allo stesso punto: infruttuosi tentativi di adeguare la preparazione scolastica al mondo del lavoro, inutili cambiamenti di materie e di programmi, sciocchi cambiamenti nei sistemi di valutazione (a che serve una lettera al posto di un numero?) o nella denominazione delle scuole e delle discipline. Intanto le scuole continuano a non fornire la preparazione che si prefiggono, in particolar modo gli istituti professionali e industriali tutto assicurano tranne che una preparazione professionale: ne sa molto di più chi ha imparato la professione privatamente che coloro che hanno frequentato la scuola, non siamo forse all'assurdo? La scuola funziona male ma nessuno rivolge l'attenzione ai suoi principali difetti. Il rapporto fra insegnanti e studenti continua ad oscillare fra l' ineducazione e il terrore. Studenti e genitori accusano spesso ingiustamente gli insegnanti, essi, a loro volta, non sentono la minima responsabilità per una classe impreparata: sembra che istruire sia compito specifico degli insegnanti privati. La valutazione poi, più che dall'effettiva preparazione dipende sempre più dalla fortuna o la sfortuna di essere stati interrogati un certo giorno o su certi argomenti piuttosto che su altri. La mia scuola ha come modello le elementari, soprattutto quelle di una volta dove l'insegnante, essendo unico, conosceva vita e miracoli di ciascuno dei sui allievi. Alle elementari (almeno quelle che ricordo io), s'instaurava una convivenza fra alunni e insegnante, quest'ultimo correggeva i compiti in classe e quelli fatti a casa, girava fra i banchi, chiamava alla lavagna quando lo riteneva opportuno, interrogava senza alcun preavviso, come poteva non conoscere l'effettivo valore dell'alunno? Andando avanti negli studi (e questo ccadeva anche ai miei tempi) la scuola si trasforma sempre più in un gioco a quiz, in una rigida media aritmetica fra poche interrogazioni e pochi compiti in classe (magari copiati). Perchè mai un'esercitazione dovrebbe contare meno di un compito in classe? Perchè un invito informale alla lavagna o un intervento dal posto dovrebbe contare meno di un interrogazione ufficiale? Perchè compiti e interrogazioni devono avere preavviso? Per quale motivo il docente, al di là dei voti segnati sul registro, non può tener conto di tutto ciò che sa dell'alunno? Altro modello che mi sento di suggerire per la scuola è quello degli apprendisti che imparano il mestiere, quelli sì che vengono guidati e istruiti dal maestro, di loro si sa davvero quanto rendono e quanto hanno imparato. Vorrei una scuola con chiari obbiettivi, dove si studia ciò che serve e lo si impara davvero, dove ogni docente sente la responsabilità della propria scolaresca, dove domina un atmosfera di distensione e un rapporto amichevole fra insegnanti e alunni, dove la valutazione rispecchia il vero profitto di ciascuno. Si sono fatte tante leggi ma qualcuno a mai pensato a queste cose? Vorrei infine che il mio ragionamento fosse esteso al mondo del lavoro e ad ogni aspetto della vita sociale, vorrei che venisse abbattuta la burocrazia la cui giusta definizione è quella che ascoltai una volta alla ruota della fortuna: "La burocrazia è l'arte di rendere impossibile ciò che è possibile!". Vorrei che scomparisse la rigida assegnazioni dei posti in base a schematiche procedure, al superamento di concorsi (peraltro truccati) basati sulla conoscenza di nozioni inutili al lavoro in questione. In una sola parola vorrei che nella scuola, nell'università, nel lavoro e in ogni campo si mirasse a far emergere ciò che ognuno sa e può dare alla società, nel suo interesse e per il bene della collettività. I giochi a quiz lasciamoli a Mike Bongiorno!

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