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lunedì 9 agosto 2010

Una doverosa traduzione

A causa dei problemi tecnici dei giorni scorsi, sono ancora in debito di una traduzione, quella del mio articolo "Compatrona te Caddhipuli", riferito alla festa di S. Cristina a Gallipoli, tratto dal calendario in vernacolo. Eccomi pronto a saldarlo!

Compatrona di Gallipoli

La devozione per Santa Cristina incominciò dubito a crescere e a diffondersi ovunque. I documenti storici non sono molti, ma il ricordo della Santa si è tramandato da una generazione all'altra e non si mai perduto. Ella divenne popolare anche nella nostra cittadina, tanto che le fu eretta una chiesetta nelle vicinanze della chiesa del Canneto. Per tradizione, il giorno di S. Cristina, in segno di rispetto, non si doveva andare a mare a fare il bagno, si diceva che portasse la "steddha" (questo termine, che letteralmente significa stella, deriva forse da cattiva stella). La paura della "steddha" si accrebbe, quando il 24 luglio del 1807, un ragazzo di undici anni, figlio di Carlo Ricci e Lucia Indelli, morì annegato in mare.

Parecchi anni dopo, a Gallipoli, vi fu una forte epidemia di colera la quale cessò solo con l'intercessione di S. Cristina. Da allora, S. Cristina divenne compatrona di Gallipoli, andandosi ad aggiungere a S. Sebastiano e a S. Agata, e ogni anno, a iniziare dal 1867, viene onorata con una grande festa. S. Cristina ricorre il 24 luglio ma a Gallipoli è stata sempre festeggiata per due o tre giorni di fila (23,24,25); un anno venne addirittura festeggiata per cinque giorni, tanto che fu pubblicato l'articolo nei quotidiani nazionali. In quell'occasione le luminarie si estendono per tutto corso Roma e c'è il palco per i bandisti. Un tempo c'era molto sport: gare di nuoto, gare di barche, tiro alla fune, cuccagna a mare, cuccagna a terra...Poi è diventata soprattutto una fiera, dove puoi trovare un po' di tutto. Una tradizione che ancora sopravvive è è quella della cuccagna a mare, che si svolge nel porto grande o nel seno del Canneto. Sulle bancarelle non può mai mancare la "scapece" (piatto a base di pesciolini, pangrattato e zafferano), che una volta era un piatto dei poveri, ora, invece, è molto ricercato. La festa si conclude sempre con i fuochi.

Alcuni anni si sparge la voce che il comune è in deficit e la festa non ci sarà, ma poi c'è sempre qualcuno che si fa avanti e la festa si fa ugualmente. Tutte le feste possono saltare ma s. Cristina mai!

L'articolo mette in risalto la differenza fra la festa di un tempo e quella attuale (così come la ricordo anch'io) e come essa si sia evoluta probabilmente in negativo. Inoltre, come ho scritto quando ho pubblicato la versione dialettale, a partire dallo scorso anno la festa si è ulteriormente trasformata in peggio, in parte per motivi economici ma soprattutto per l'infelice idea di far svolgere la fiera in una zona periferica della città, separata e lontana dalle luminarie, per cui, passeggiando nel mezzo della festa, s'incontrano solo bancarelle con panini caldi, dolciumi e giocattoli. Per di più gran parte del percorso è del tutto privo di bancarelle. Si è creduto probabilmente di evitare in queso modo il sovraffollamento e favorire la passeggiata, ma il risultato è che non si avverte più l'atmosfera festosa di una volta. I pareri sono stati nella maggior parte negativi, il mio è categorico: "Hanno distrutto la festa, a me quest'anno non è sembrato neppure che ci sia stata!". La mia festa di S. Cristina è quella con la calca di gente, i vari articoli nuovi e bizzarri da osservare e da comprare, le urla dei mercanti, le bancarelle delle scarpe e dei piatti alternate alle noccioline e allo zucchero filato, i vari ciarlatani che cercano di turlipinare la gente con i loro giochi o distribuendo pacchi gratuiti.

Io spero che la festa torni presto all'antico splendore, prima che che la gente si abitui (come fa in tutte le cose) a questa nuova forma, scarna e priva di fervore. Se ciò accadrà ci sarò sempre io a ricordare la grande festa di una volta...Potete giurarci!

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